IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa iscritta a ruolo
 il  10  giugno  1996  e  segnata  al    n.  r.g.  267/1996,  discussa
 all'udienza  del  25  settembre  1996 promossa da Carnevali Giuseppa,
 rappresentata  e  difesa,  per  procura   a   margine   del   ricorso
 introduttivo  del  giudizio,  dall'avv.  Gabriella  Del Rosso, via G.
 Monaco  n.  25,  Firenze,  presso  il  cui  studio  elegge  domicilio
 appellante, contro l'Istituto nazionale della  previdenza  sociale  -
 I.N.P.S.,  appellato-contumace,  avente ad oggetto: pensioni I.N.P.S.
 integrazione al trattamento minimo -  concorso  di  piu'  pensioni  a
 carico  della  stessa  gestione  -  art.    6,  comma terzo, legge n.
 638/1983, seconda parte - questione non manifestamente  infondata  di
 legittimita'  costituzionale  per  disparita'  di  trattamento con il
 cumulo di pensioni a carico di gestioni diverse di cui al comma terzo
 1 parte (itm-con4.doc).
   Con  ricorso  depositato  l'11  novembre  1994  Carnevali  Giuseppa
 esponeva  di  essere  titolare  di  due pensioni erogatele dall'INPS,
 nell'ambito della stessa  gestione:  una  diretta  di  vecchiaia  (n.
 10013095),  con  decorrenza  1  agosto 1983, integrata al trattamento
 minimo fin dall'origine, l'altra di reversibilita' (SO 22012763), con
 decorrenza 1 febbaio 1987. Aggiungeva che  l'istituto  previdenziale,
 nel  dicembre  1993,  aveva  provveduto  a ricalcolare gli importi di
 dette pensioni ed  aveva  trasferito  l'integrazione  al  trattamento
 minimo  sulla  pensione  di reversibilita', in quanto originariamente
 liquidata con piu' di 780 contributi settimanali,  riportando  quella
 diretta a calcolo.
   Lamentava  che  a seguito di detta variazione l'importo complessivo
 delle due pensioni  era  risultato  inferiore  di  circa  L.  250.000
 mensili  rispetto  a  quello  complessivamente  dovutole  per effetto
 dell'integrazione  al  trattamento  minimo  della  pensione  diretta.
 Infatti  nel  febbraio  1987,  epoca  di  inizio  della  pensione  di
 reversibilita', questa ammontava  a  L.  380.000  mensili,  e  quella
 diretta  a  L.  580.000, con la integrazione al trattamento minimo, e
 cosi' in  totale  L.  860.000  mensili.  Per  effetto  del  ricalcolo
 retroattivo,  la  pensione  diretta, portata a calcolo sulla base dei
 contributi versati, e' stata ridotta a L.   10.000  mensili,  per  un
 totale,  con  la  pensione di reversibilita' integrata al trattamento
 minimo, di L. 610.000.
   Deduceva di aver diritto, in forza di  quanto  stabilito  dall'art.
 6, comma terzo, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella
 legge   11   novembre   1983,   n.  683,  a  continuare  a  percepire
 l'integrazione al  trattamento  minimo  dal  1  febbraio  1987  sulla
 pensione diretta, con conseguente condanna dell'INPS a corrisponderle
 le  differenze tra quanto dovutole e quanto corrispostole a titolo di
 pensione diretta dal 1 febbraio 1987, oltre  rivalutazione  monetaria
 ed interessi legali.
   Costituito il contraddittorio, con sentenza 6/12 giugno 1995 n.
  689 il pretore del lavoro di Firenze ha respinto la domanda.
   Carnevali   Giuseppa  ha  proposto  rituale  appello,  con  ricorso
 depositato il 10 giugno 1996, prospettando, in  subordine,  eccezione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6  comma terzo, d.-l. 12
 settembre 1983, n.  463, convertito nella legge 11 novembre 1983,  n.
 683.
   L'I.N.P.S. e' rimasto contumace.
                             O s s e r v a
   La  questione, in identica fattispecie, e' stata gia' proposta alla
 Corte dal pretore di Lecce con ordinanza 13  gennaio  1966  (Gazzetta
 Ufficiale  1a  serie  speciale 20 marzo l966 n. 12), sotto il profilo
 della disparita' di  trattamento  tra  pensionati  appartenenti  alla
 stessa  gestione,  per  i  quali  il  requisito dei 781 contributi si
 rivelerebbe  erratico  e  fonte di disparita' casuali non sorrette da
 una giustificazione razionale.
   La difesa della Carnevali prospetta un diverso profilo, che  appare
 al tribunale di Firenze non manifestamente infondato.
   L'art.  6, comma terzo, d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito
 nella legge 11 novembre 1983, n. 683 recita: "Fermi restando i limiti
 di reddito di cui ai precedenti commi, nel caso di concorso di due  o
 piu'  pensioni  l'integrazione di cui ai commi stessi spetta una sola
 volta ed e' liquidata sulla pensione  a  carico  della  gestione  che
 eroga  il  trattamento minimo di importo piu' elevato o, a parita' di
 importo,  della  gestione  che  ha  liquidato  la   pensione   avente
 decorrenza piu' remota.
   Nel  caso  di  titolarita'  di  pensioni dirette ed ai superstiti a
 carico  della  stessa  gestione  inferiori  al  trattamento   minimo,
 l'integrazione al trattamento minimo e' garantita sulla sola pensione
 diretta,  sempreche'  non  risultino  superati  i  predetti limiti di
 reddito; nel caso in cui una delle pensioni  risulti  costituita  per
 effetto  di  un  numero  di  settimane di contribuzione obbligatoria,
 effettiva e figurativa con esclusione della contribuzlone  volontaria
 e  di  quella  afferente a periodi successivi alla data di decorrenza
 della pensione, non inferiore a 780,  l'integrazione  al  trattamento
 minimo spetta su quest'ultima pensione".
   E' Pacifico che l'art. 6, comma terzo, in esame prevede due ipotesi
 di  concorso:  la  prima  relativa  a  pensioni  a carico di gestioni
 diverse, contenuta nel  primo  periodo;  la  seconda,  contenuta  nel
 secondo  periodo,  di  pensioni  a  carico  della stessa gestione. La
 fattispecie sottoposta a giudizio rientra nella seconda ipotesi.
   Per la prima ipotesi la norma detta due  criteri,  uno  principale,
 l'altro   sussidiario.   Il   criterio   principale   e'   costituito
 dall'obbligo di liquidare la pensione a  carico  della  gestione  che
 eroga  il trattamento minimo piu' elevato. Il secondo criterio scatta
 in caso di parita'  di  importo:  in  tal  caso  la  integrazione  al
 trattamento  minimo  va  liquidata  sulla  pensione  a  carico  della
 gestione che eroga la pensione avente decorrenza piu' remota.
   Il  primo  criterio  aveva  la  sua  ragion   d'essere   al   tempo
 dell'emanazione  della  legge n. 638, perche' allora vi erano livelli
 di trattamento minimo differenti per  le  varie  gestioni;  dopo  che
 l'art.  7, legge 15 aprile 1985, n. 140 (Miglioramento e perequazione
 di trattamenti pensionistici e aumento  della  pensione  sociale)  ha
 parificato   i   livelli  di  trattamento  minimo  dei  commercianti,
 artigiani  e  coltivatori  diretti  a  quelli  del   Fondo   pensioni
 lavoratori dipendenti, il primo critero del primo periodo non e' piu'
 applicabile.   Resta   valido  il  criterio  residuale,  ora  l'unico
 applicabile, della pensione avente decorrenza  piu'  remota.  Non  si
 puo'  negare  che  entrambi i criteri erano ispirati al favore per il
 pensionato:  il  primo,  perche'   privilegiava   la   pensione   con
 integrazione  al  trattamento  minimo  piu'  elevato; il che secondo,
 perche' la pensione di data piu'  remota  e'  normalmente  quella  di
 importo piu' basso, e comunque con un vantaggio temporale maggiore.
   La diversa ipotesi di piu' pensioni a carico della stessa gestione,
 disciplinata  nel  secondo  periodo,  prevede  anch'essa due criteri,
 divisi dal punto e virgola. Il primo criterio, di carattere generale,
 comporta l'integrazione al trattamento minimo sulla pensione diretta;
 il secondo, derogativo del  precedente,  comporta  l'integrazione  al
 trattamento minimo sulla pensione di reversibilita' se costituita per
 effetto di piu' di 780 contribuzioni settimanali.
   Anche  la ragione che sosteneva la norma derogativa e' venuta meno,
 con l'abrogazione, dal 1  gennaio  1990  ad  opera  del  decreto  del
 Presidente  del Consiglio dei Ministri 16 dicembre 1989, dei benefici
 che l'art.  14-quater d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con
 modificazioni, in legge 29 febbraio 1980, n. 33  e  legge  15  aprile
 1985,   n.   140   (Miglioramento   e   perequazione  di  trattamenti
 pensionistici e aumento  della  pensione  sociale)  garantivano  alle
 pensioni liquidate per effetto di piu' di 780 contributi settimanali.
 Ma  non  per  questo la norma puo' ritenersi abrogata, tanto piu' nel
 presente caso, in cui la decorrenza della  pensione  e'  antecedente,
 dal febbraio 1987.
    Ne  risulta  comunque  un  quadro  normativo,  diverso dal disegno
 originario del legislatore del 1983, nel quale  vengono  discriminate
 le  pensioni  erogate  da  diverse gestioni o da unica gestione senza
 alcuna   ostensibile   ragione   giustificatrice:   per   le    prime
 l'integrazione  al  trattamento  minimo  spetta sulla pensione avente
 decorrenza piu' remota, indipendentemente dal numero  dei  contributi
 versati;  per  le  seconde  vale  la  pensione  con maggior numero di
 contributi. Quest'ultimo puo' essere ritenuto un criterio  razionale,
 nell'ambito  delle  finalita'  della  legge 11 novembre 1983, n. 683,
 volta  al  contenimento  della  spesa  pubblica,   ma   e'   comuqnue
 collidente,  ed  importa  per cio' lesione dell'art.  3 Cost., con il
 criterio della prima  parte,  che  non  conosce  tale  vincolo.  Tale
 contrasto  non  e'  risolvibile  in via interpretativa, e richiede un
 intervento  o  del  legislatore,  o   del   giudice   costituzionale,
 eventualmente  con  il  metodo  perequativo inaugurato da Corte cost.
 ord. 1 giungo 1995, n. 225.
   Vi  e'  un  secondo  profilo  di  possibile   lesione   di   valori
 costituzionali.
   Com'e'  noto,  la Corte cost. (sent. 29/31 dicembre 1993 n. 495) ha
 dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 22 legge  21  luglio
 1965,   n.   903   (Avviamento  della  riforma  e  miglioramento  dei
 trattamenti di previdenza sociale) nella parte in cui non prevede che
 la  pensione  di  reversibilita'  sia  calcolata   sulla   base   del
 trattamento  erogato  al  pensionato  (o che questi avvrebbe comunque
 avuto  diritto  a   percepire)   comprensivo   dell'integrazione   al
 trattamento  minimo,  con  riferimento  al  momento  della  morte. La
 valutazione che e' alla  base  della  giurisprudenza  costituzionale,
 espressa  gia'  nella  sentenza 8/28 luglio 1988, n.  926, e ribadita
 nella Corte cost. 29/31 dicembre 1993 n. 495, e' che la  pensione  di
 riversibilita'  attua,  per  il  coniuge  superstite,  una  specie di
 proiezione oltre la morte della funzione di sostentamento assolta  in
 vita  dal  reddito  del  de  cuius,  perseguendo lo scopo di porre il
 superstite al riparo dalla eventualita' stessa dello stato di bisogno
 che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge.
   Pertanto la decisione della Corte si muove in un'ottica di art.  29
 della  Costituzione,  anche  se  la  norma  costituzionale   non   e'
 espressamente  menzionata,  per  la  quale e' apparso ingiusto che la
 morte del coniuge privi il  coniuge  superstite  dei  proventi  della
 pensione  di  reversibilita', anche se quest'ultima e' costituita per
 una parte dalla pensione contributiva, e per altra da integrazione al
 trattamento  minimo  con  funzione  assistenziale,  di  cui  comunque
 beneficiava l'altro coniuge, ora superstite.
   Se  cosi'  e',  il  trasferimento della integrazione al trattamento
 minimo dalla pensione diretta a quella di  reversibilita',  che  gia'
 incorpora  la  quota di trattamento minimo spettante al de cujus (per
 il coniuge pari al 60%), potrebbe  comportare  una  compressione  del
 trattamento  complessivo, rispetto alla situazione in vita del cujus,
 attraverso un intervento sulla pensione diretta, che viene  riportata
 a calcolo, lesivo della funzione della pensione di reversibilita'.